Non erano bastati ad Antonio Tiberi vincere un campionato del mondo Juniores a cronometro ed essere uno dei ciclisti italiani più promettenti per meritarsi non dico un titolo, ma quantomeno un trafiletto sui giornali generalisti.
Oggi invece, per puro e sacrosanto diritto alla cronaca e al facile click, nessuno e dico nessuno si è risparmiato dallo scrivere dell’insano gesto di un ragazzo di 21 anni che ha ucciso un gatto con una carabina ad aria compressa.
Un istante prima che la notizia si spargesse a macchia d’olio lui stesso aveva pubblicato una sorta di testamento su Instagram, ma evidentemente aveva già capito cosa stava per accadergli.
Decine di articoli usciti nel giro di pochi minuti, sospensione immediata dalla squadra per 20 giorni, rischio licenziamento.
Ho due riflessioni:
1) Fino a che punto uno sportivo ha il diritto a non essere sputtanato?
Parliamo di un gesto sicuramente brutto, che fosse volontario o meno, ma che se fosse capitato a me sarebbe valsa giusto una pagina sul giornale locale con l’utilizzo delle iniziali. G.F. E nessuno si sarebbe sognato di sospendermi dal lavoro.
Ed è anche curioso il concetto di ‘personaggio pubblico’. L’italiano medio sapeva chi fosse Antonio Tiberi fino a ieri? Beh, oggi un po’ di più.
2) Possibile che la squadra non sapesse, visto che l’episodio risale a Novembre?
La squadra è come la mamma e come una mamma deve punire, mettere in castigo. Niente paghetta, niente giochi.
Ma la punizione, se l’intento è correttivo, dovrebbe iniziare quando il misfatto viene scoperto, non quando viene diffuso pubblicamente, altrimenti chiamasi ipocrisia.
Mi spiace, caro Antonio. Meriti una punizione, ma non la gogna pubblica. Il mondo di oggi non perdona le cazzate, tranne quelle gravi fatte dalle persone importanti. Non piangere sul gatto sparato.
Attraverso una ruota 