Calcio e ciclismo. Questa è la risposta automatica che negli ultimi 30 anni ho dato ogni qual volta mi è stato chiesto quale fosse il mio sport preferito.
Due mondi così diversi, due sport così diversi e anche per questo meravigliosamente complementari. Non potrei fare a meno di uno dei due.
Il calcio mi ha dato l’adrenalina di un gol segnato all’ultimo secondo. Mi ha fatto vivere lo spogliatoio, la squadra, i campionati. Mi ha fatto vincere partite che avevo già perso e perdere partite che avevo già vinto. Ho fatto belle giocate e autogol clamorosi. Mi sono fatto male, da solo o per colpa d’altri, troppe volte.
Il ciclismo mi ha fatto sentire connesso all’universo, in alta quota o in mezzo alla natura. Non mi ha mai fatto tornare a casa nervoso. Mi ha dato l’emozione di staccare tutti in salita o di essere il primo a rimanere indietro. Mi ha dato il tempo per pensare alla mia vita. Sono caduto, mi son rotto denti e ossa, sono stato buttato a terra da un’auto, mi sono rialzato.
Entrambi scandiscono il ritmo delle mie stagioni, da sempre. Ma da qualche anno il mio corpo mi sta presentando il conto. E qui passa, forse, la più grande differenza tra le due discipline. Se riesci a stare in sella, il ciclismo è uno sport dolce, morbido, democratico: tieni un occhio sulla strada e uno sul cardio e vai avanti fino a 90 anni. Il calcio invece è esigente, traumatico, spietato: se non sei integro persino il più semplice dei movimenti può risolversi in un infortunio.
A calcio ho iniziato a farmi male a 13 anni. Quando gli altri erano considerati di gomma, io ero già sotto i ferri. E fosse stata l’unica volta. Oggi sono i tendini a implorare pietà. Tendinite cronica, dicono gli specialisti. Talloni e ginocchia sempre in fiamme, corro storto per sentire meno dolore e mi infortuno ai muscoli, in un circolo ormai vizioso che mi vede quasi sempre abbandonare un allenamento o una partita prematuramente, e scendere le scale di casa zoppicando nei giorni successivi.
Tutto questo è insensato, eppure non ho la forza di dire basta. Quante volte ho detto ai miei compagni ‘smetto’? Una volta l’ho persino fatto sul serio, salvo poi tornare dopo pochi mesi più convinto di prima. Dentro di me lo so bene, la cosa più razionale sarebbe dedicarmi solo al ciclismo. Ma ho paura che poi mi manchi qualcosa e che anche il mio amore per la bicicletta si incrini.
Quante volte, mentre pedaliamo, ci troviamo di fronte a un bivio e non riusciamo a deciderci? Nella consapevolezza di essere comunque un privilegiato e un fortunato, eccomi, io sono qui fermo in mezzo alla strada.