Quando si parla di Fabio Aru è difficile non scivolare in banalità. Corridore popolare, iconico e seguitissimo, ha per molti anni dato da mangiare ai migliori e ai peggiori giornalisti, sia quando vinceva e soprattutto quando perdeva.
Chi si è affacciato ultimamente al mondo del ciclismo ha potuto vedere solo il declino della sua carriera, quando i risultati non arrivavano. Ma quanto andava forte Fabio, e che bel corridore che è stato! Uomo capace di vincere con attacchi improvvisi e impossibili, ma soprattutto in grado di sopportare grandi sofferenze.
Quanto velocemente certe cose vengono dimenticate. Per anni giornalisti e cronisti riconoscevano in lui proprio la capacità di soffrire, la tenacia e la determinazione che spesso contraddistinguono i sardi. Poi, improvvisamente, l’hanno etichettato come ‘talento fragile di testa’. Praticamente l’alfa e l’omega.
Persona mite, generosa ed educata a detta di alcuni addetti ai lavori, ho conosciuto anche persone esterne al mondo del ciclismo che mi hanno confermato queste caratteristiche. Allo stesso tempo, compagni di squadra e direttori sportivi non hanno mancato di attaccarlo, boicottandolo in corsa e sputtanandolo in diretta televisiva nei momenti di difficoltà. Ancora una volta l’alfa e l’omega.
Chi è Fabio Aru? Non lo so e sono fatti suoi, quelli che d’ora in poi potrà finalmente farsi, perché domenica ha corso l’ultima gara della sua vita e ha detto basta, a soli 31 anni. Non ne poteva più.
Io lo ringrazio per le emozioni che mi ha dato e gli chiedo scusa per le sofferenze che, da tifoso esigente quale sono, posso avergli creato. Forse ha ragione chi dice che il suo reale problema, se così può definirsi, è che era talmente forte di testa che per anni è andato più forte di quello che poteva, finché il fisico non gli ha presentato il conto.
Buona vita Fabio.