Non importa quanto tu vada forte. Puoi avere tutti i KOM sulle salite della provincia di Como, ma se qualcuno ti chiede se hai fatto il Muro e tu rispondi di no, non sarai mai considerato un ciclista lariano completo.
Se ho battezzato il Ghisallo come una salita del cavolo (e sono pure stato insultato per questo), devo invece dire che il Muro è realmente molto esigente: meno di due km, ma con una pendenza media intorno al 17% con tratti fino al 27%, con una carreggiata incredibilmente stretta che non permette nemmeno di salire a zig-zag per ingannare la pendenza.
Anche il Muro è una salita ‘epica’. Dal 1960 al 1962 fu affrontata dal Giro di Lombardia; solo tre edizioni che rimasero nella storia e nella memoria. Un giorno, quando ero bambino, mio papà mi ci portò a piedi e mi raccontò delle bestemmie dei corridori , che venivano praticamente tutti spinti dal pubblico, e dell’odore acre delle frizioni bruciate delle moto e dei motocarri che avrebbero dovuto fare assistenza ai corridori ma che si ritrovarono impantanate peggio di loro.
Oggi il muro è molto diverso da allora: è stato riasfaltato e delle scritte a terra ti accompagnano lungo tutto il percorso: i metri relativi all’altitudine che aumenta velocemente, i tempi di ascesa dei campioni del passato e le meravigliose dichiarazioni degli stessi dopo la gara. Per loro sì che era una grande impresa: biciclette pesanti e soprattutto rapporti durissimi. Lo ricorda lo stesso Bartali, la cui dichiarazione la si può leggere, con estrema fatica, salendo il muro:
“Davanti il 50 e il 42, dietro il 24, 17, 19, 23, 26 perché codesta gli è una salita da fare col 42×26 un si scappa; è durissimo il primo strappo che si dovrà fare quasi da fermo, perché viene dopo una curva a gomito. Saranno duri quei 2 chilometri abbondanti che ci sono da scalare in quanto presentano curve secche con impennate paurose. Sarà difficilissimo l’ultimo strappo”.
Negli ultimi anni il muro è stato reintrodotto nel percorso del Lombardia. I nuovi materiali e i rapporti a disposizione dei corridori lo hanno reso un tratto del tutto fattibile per i professionisti, pur faticoso e affascinante. Per i cicloamatori invece il discorso è diverso: sono sempre tanti coloro che lo affrontano e li dividerei in tre categorie: quelli che lo fanno in MTB, i cicloamatori allenati che lo fanno per fare il tempo e infine quelli che lo affrontano come rituale.
Mi concentro su quest’ultima categoria.
Con la bici da corsa, quasi tutti ormai con la compact (34 davanti e 28-30 o anche 32 dietro); per loro (anzi, per noi, visto che faccio parte di questa categoria) significa salire per 15 minuti a tutta. Non riesci a goderti la salita, non puoi guardare il panorama. La strada non scorre e sei sempre tentato di mettere giù il piede per rifiatare un attimo; ma non lo fai, perché poi non riusciresti a ripartire.
Sali a 5-6km/h e se vedi in lontananza qualcuno a piedi ti sorprendi di non raggiungerlo mai. Alla fine arrivi in cima e neanche ti godi la splendida vista del Cornizzolo e della Grigna: hai solo bisogno di respirare, di riposare. Poi, quando il cuore torna a battere a un ritmo più o meno normale, realizzi che ce l’hai fatta.
E giuri e spergiuri che non lo rifarai mai più.
Ma non è così, perché prima o poi ti toccherà accompagnare qualcuno che non l’ha ancora fatto. Io sono già a quota 3. Nel 2016 per la prima volta, alla veneranda età di 36 anni, nel 2019 per accompagnare mio fratello (alla sua veneranda età di 56 anni) e sabato scorso per accompagnare Al (alla nostra veneranda età di 41 anni).
Da provare.