Come ho già scritto decine di volte, ma mai mi stancherò di ripeterlo, il mio idolo era Gianni Bugno.
Bugno correva in un periodo in cui i campioni di certo non mancavano: Indurain, Roche, Lemond, Chiappucci, Museeuw solo per citarne alcuni, ma da quello che ricordo io, il suo rivale principale era Laurent Jalabert.
Corridore di classe infinita, era competitivo su qualunque percorso. Veloce, resistente, intelligente e in grado persino di vincere la Vuelta España nel 1995. Per farvi capire di chi stiamo parlando, riuscì a vincere la classifica a punti, quella dedicata ai velocisti, in tutti e tre i grandi giri, e la classifica degli scalatori sia al Tour che alla Vuelta. In un’era in cui tutti i corridori correvano tutte le gare tutto l’anno, Bugno e Jalabert si trovavano tutte le domeniche spalla contro spalla.
Jalabert era anche un signore. Durante la Vuelta del 1995, già in maglia oro, raggiunse il fuggitivo di giornata a pochi chilometri dal traguardo. Il fuggitivo lo vide passare e, preso da sconforto, si piantò sui pedali. Ma Jaja (così lo chiamavano) lo guardò, lo spronò e gli fece cenno: “Su, vieni con me!”. Lo portò fino al traguardo e alla fine lo fece vincere.
Bugno rispettava tutti, ma lui in maniera particolare. Quando al mondiale 1992 lo batté in volata, la prima cosa che disse alle telecamere fu che era un peccato che un campione come lui non avesse ancora vinto un Campionato del Mondo. Purtroppo, non lo vinse mai.
Io temevo Jalabert, perché era proprio forte. Eppure non lo odiavo in quanto principale avversario del mio idolo, anzi. Ancora una volta mi tocca fare un paragone calcistico: da interista (nessuno è perfetto) provo una naturale avversione per la Juve. E sono la stessa persona. Perché amavo Jalabert e non sopporto la Juventus?
Perché, ancora una volta, il ciclismo è uno sport diverso.
Un giorno andai a vedere il Gran Premio di Chiasso, una corsa che ora non esiste più; era il 1996. Abitavo in un paese di frontiera, e la cittadina svizzera era a un tiro di schioppo da casa mia. Io e il mio amico Luf (ciclista di ottime speranze allora, ma con un amore viscerale per il buon cibo, e perfetto compagno di pedalate anche oggi), ci posizionammo sulla salita che porta in Val di Muggio. Una salita abbastanza lunga, che sale a gradoni con alcuni punti abbastanza duri.
Quando arrivò il gruppo, mi sorprese di vedere in prima posizione proprio Laurent Jalabert con l’inconfondibile maglia a evidenziatore della ONCE. Non pensavo partecipasse e mi colse alla sprovvista. In una fase molto tranquilla della corsa, in un punto dove c’era pochissimo pubblico e grande silenzio, fui talmente emozionato di vederlo che iniziai a urlare il suo nome come un pazzo.
Proprio in quel momento lui aveva in mano una barretta energetica (non ne avevo mai vista una e neppure sapevo cosa fosse) e me la lanciò, già aperta ma non ancora morsicata. Ho tenuto quel cimelio per anni, finché un giorno iniziò a emettere un fetore nauseabondo e mia madre la buttò via senza il mio consenso, che non avrebbe mai avuto.
Amavo Jalabert, ed era il mio nemico numero 1.
Tra l’altro, in quella corsa si classificò al terzo posto Andrea Stocco, che ho conosciuto pochi mesi perché mi ha venduto la sua MTB usata. Il mondo è piccolo, tutto scorre.