Sono i corridori a rendere dura la corsa, non la strada. Questa è una frase fatta, usata spesso dai commentatori per riempire vuoti durante la telecronaca. Eppure è esattamente quello che è accaduto oggi nella tappa abruzzese del Giro d’Italia. Questo Passo Godi, 14km non durissimi fatti a manetta, inizia a mettere fin da subito tossine nelle gambe dei corridori.
Si muove anche baffone Caruso con due compagni di squadra, in classifica è sesto e non si può proprio lasciarlo andare. Ma si va forte forte e allo scollinamento raccimolano una trentina di secondi sul gruppo, dove in testa si vede per la prima volta la Bike Exchange di Simon Yates.
In discesa Mohoric, uno dei migliori discesisti del gruppo e compagno di squadra e di fuga di Caruso, fa una di quelle cadute che ti fan venir voglia di vendere la bicicletta all’istante. Picchia la testa, la bici si spezza. Si rialza e chiede una bici di cambio, ma è sotto shock, poi si sdraia sull’asfalto e aspetta i soccorsi che prontamente lo immobilizzano. Non ripartirà, ma le prime notizie parlano di una concussione non grave. Non ha mai perso conoscenza e lucidità e non ha avuto amnesie, il che è rassicurante.
Si spaventano un po’ tutti. La Ineos va in testa al gruppo e rallenta. Quelli che pur non essendo in rosa sembrano già i padroni della corsa danno il via libera alla fuga. Breve conciliabolo con la Groupama della maglia rosa Walter Attila, di cui ancora mi sfugge quale sia il nome e quale il cognome e sembra ci sia un accordo.
Ma la UAE non ha uomini là davanti e non ci sta, quindi si rimette in testa a menare. Oggi niente pause. Prima della fine della discesa il gruppo è ancora compatto. Compatto si fa per dire, perché sono già in molti quelli che hanno perso contatto tra la salita e la discesa. E mancano ancora 100km e 3500m di dislivello.
Neppure il tempo di risedersi sul divano e un drappello di coraggiosi prende vantaggio sul gruppo con una discesa mozzafiato, roccia a sinistra e dirupo a destra. Forse è la volta buona, c’è gente che va forte forte, come Mollema, Ulissi, Bouchard, Fabbro e George Bennett. Qualcuno di questi potrebbe andare fino in fondo e resistere persino agli ultimi due chilometri terribili di Rocca di Cambio, con inedito sterrato e pendenze fino al 16%.
La corsa si addormenta, consentendo a qualche telespettatore la meritata pennichella domenicale. Per una cinquantina di chilometri la distanza tra il gruppo e i fuggitivi oscilla tra i due minuti e mezzo e i tre e spiccioli. Poi i corridori prendono la lunga ma docile salita di Ovindoli e iniziano a guardarsi: se non si alza la velocità è la tensione a impennarsi. Le nuvole in cielo sembrano presagire pioggia, gli sguardi nel gruppo pure. In testa al gruppo è nero come le nuvole, arrivano le maglie Ineos e in poche pedalate guadagnano alla fuga una ventina di secondi.
L’esperto Diego Ulissi sente puzza e allunga. Di questo passo ci prendono, io vado. La sua suona come una sveglia e i più brillanti si aggregano, anzi, lo lasciano lì. Probabilmente ha speso troppo nelle fasi iniziali. C’è anche Mollema, che dalla faccia sembra faticare sempre, ma per staccarlo non sono sufficienti neppure i calci in faccia. Dei nostri è sopravvissuto Matteo Fabbro. Salgono a 30km/h, che è la velocità che io a malapena tengo in pianura.
Nell’altopiano ventoso tra le ultime due salite, le immagini staccano sul gruppo e in testa improvvisamente c’è Remco Evenepoel, che con due uomini Deceunink cerca di creare un ventaglio. Follia, inesperienza o enorme sicurezza? I big stanno attenti e la sortita non ha alcun effetto. Nel frattempo, in testa, resta da solo Bouchard, che va forte ma fa un sacco di smorfie e mi ricorda per un attimo il suo vulcanico connazionale Thomas Voeckler.
La testa del gruppo cambia per l’ennesima volta colore: ora ci sono gli azzurri della Movistar per Marc Soler. Mancano 6km, praticamente l’ultima salita. La testa della corsa ha ancora circa due minuti di vantaggio. In un attimo l’azzurro torna nero e super forcing della Ineos, tutti in fila indiana e Valter Attila scivola nelle ultime posizioni del gruppo; la sua pedalata è pesantuccia e il suo futuro sempre meno roseo.
I corridori entrano in una lunga galleria e la regia ci fa vedere la bellezza delle montagne. Piove e sorrido pensando al siparietto di poco fa sulla Rai, con il professor Fagnani che studiava i modelli sul computer e sosteneva che non avrebbe piovuto, mentre Davide Cassani, in corsa su una moto con la visiera bagnata, sosteneva il contrario.
All’uscita della galleria Bouwman della Jumbo ha quasi raggiunto Bouchard, il gruppo maglia rosa è ancora uguale ed è ancora gruppo maglia rosa, perchè Attila è ancora lì attaccato con lo scotch. Inizia lo sterrato e Bouwman raggiunge Bouchard. La maglia rosa si stacca e Remco Evenepoel perde posizioni. Davanti al gruppo c’è ancora Moscon che mette tutti alla berlina. Attacca Vlasov, ma quando parte Bernal sembra una moto, va il doppio degli altri esalta via a doppia velocità Bouchard e Bouwman, che sembrano ostacoli sul percorso.

Bernal è strepitoso e va a vincere alla grande la tappa, davanti a un grande Ciccone, Vlasov ed Evenepoel. Distacchi non abissali, ma sufficienti per garantire a Bernal anche la maglia rosa. Ora il colombiano comanda la classifica generale con 15 secondi di vantaggio su Evenepoel, 21 su Vlasov e 36 su Ciccone.