HO FATTO LA MILANO SANREMO CON LA MAGLIA DI BUGNO E IL 50

In due giorni. Non sono quel tipo di ciclista. Mi colloco, almeno secondo Strava, tra i cicloamatori e i cicloturisti. Tradotto: vado piano ma sono felice.

“Facciamo la Milano Sanremo partendo dal Vigorelli?” propose un giorno Francesco, il più intraprendente del nostro gruppetto. Quando sento ‘Milano Sanremo’, dalla notte dei tempi, a me viene in mente l’impresa di Bugno del 1990. Giornata pazza, con ventagli nella prima parte che tagliarono fuori molti big, vento favorevole per gran parte della giornata e uno dei migliori Bugno mai visti.

Ancora oggi la Milano Sanremo più veloce di sempre.

Era già strano che Bugno, che spesso correva nelle retrovie e si faceva soprendere, fosse davanti quando iniziarono i ventagli. Fu molto attivo nel gruppetto dei fuggitivi per mantenere il vantaggio sugli inseguitori e dalla Cipressa in poi rimase da solo. Talmente bello in bicicletta che sembrava andasse pianissimo. Sempre seduto e composto. Non capivi se stesse andando in salita, in pianura o in discesa. Sempre con il 53. E gli altri dietro che si affannavano ma non sarebbero mai riusciti a prenderlo.

Mi sarebbe piaciuto celebrarlo, così decisi di cercare la maglia vintage della sua squadra, la Chateu d’Ax. Ne trovai su Ebay proprio una dell’epoca, originale con quel tessuto di flanella perfetto per la mezza stagione e per puzzare come una capra dopo 10km. Arrivò appena in tempo, un paio di giorni prima dell’evento. Avevo paura mi procurasse un insopportabile prurito, così uscii per una breve pedalata di test. Scesi per la discesa di casa mia, girai a sinistra, arrivai a una rotonda. Incrociai un signore sulla sessantina che mi guardò e urlò: “Bugno!”.

Io sorrisi e alzai il pugno in segno di vittoria. Avevo la maglia giusta e la conferma che il grande Gianni non sarà mai dimenticato, grazie alla sua classe, la sua personalità e le sue stranezze.

Arrivò il giorno della partenza. Maria Luisa e Vladimir alle ammiraglie. Ai pedali io, Francesco, Andrea, Paolo, Marco x2 e soprattutto lui: Matteo detto Luf.

Luf è l’elemento destabilizzante, quello a cui succede sempre qualcosa. Una volta, durante la rievocazione della Cannes-Briançon del 1948, riuscì a forare nella hall dell’albergo prima della partenza. Un’altra volta ha caricato la bici in auto e ha lasciato le ruote appoggiate al muro del garage. Potrei raccontarne altre e probabilmente lo farò.

Quel giorno era in macchina con me e mi assicurava che tutto era a posto. Aveva portato tutto a Francesco il giorno prima, per essere sicuro di non dimenticarsi nulla. Francesco è uno organizzato.

Parcheggiammo, andammo a fare colazione, ci vestimmo e scaricammo le bici. Eravamo in perfetto orario e siccome era fine Settembre, era un bene. Ci aspettavano oltre 200km come prima tappa, un’enormità per noi. Se avessimo tardato avremmo rischiato di arrivare al nostro albergo sulla sulla riviera ligure con il buio.

“Francesco, dove sono le mie scarpe?” Chiese Luf.
“Quali scarpe?”
“Quelle nel sacchetto.”
“Quale sacchetto?”.

Quel sacchetto. Quello anonimo, del Bennet, che Luf aveva appoggiato sul pavimento di Francesco il giorno prima. Francesco aveva caricato biciclette e borse, ma quel sacchetto in mezzo al pavimento non gli diceva nulla e quindi lo lasciò lì.

Erano le 7.30 di un sabato mattina. E noi avevamo bisogno di un negozio di ciclismo, perchè con le scarpe da tennis e i pedalini non si può mica viaggiare. Ne trovammo uno sul naviglio, ma dovemmo attendere un’ora che aprisse. Pronti via, un’ora di ritardo sulla tabella di marcia. Grazie Luf.

Dopo una giornata non semplice e diverse doverose pause arrivammo all’albergo che il sole ormai aveva già salutato la combriccola ed era andato a riposarsi. Fortunatamente non da molto e ancora c’era una luce leggera. Doccia, cena abbondante e tutti a dormire.

Solo percorrendo quella strada su una bicicletta si capisce quanto i primi 180km della Milano Sanremo siano assolutamente alienanti. Pochi punti di riferimento, poche curve. Spingi spingi e il paesaggio non cambia, come se fossi sui rulli. Per dare un senso alla propria fatica bisogna pensare alle pagine di storia di ciclismo e ai supercampioni che hanno percorso quella stessa strada. Solo il Passo del Turchino è una piacevole variazione sul tema. Sono certo che persino i passisti purosangue, arrivati a quel punto, siano felici di vedere la strada impennarsi, seppur di poco.

Il secondo giorno fu decisamente più bello. Il mare, i capi, il pranzo al ciclo-bar di Mirko Celestino che alla Sanremo arrivò secondo nel 2003, dietro a Paolo Bettini. E poi, Cipressa e Poggio, che io ho voluto fare con il 50 (il 53 di Bugno non ce l’avevo) come omaggio al mio grande campione.

Due discese spaventose, quelle di Cipressa e Poggio. Incredibile pensare quanto vadano forti i corridori, e poi il rettilineo fino a Sanremo e la foto davanti all’Ariston di cui mi vergogno un po’, anche perchè avevo appena rotto gli occhialini e ne indossavo un paio da carrozziere presi in prestito in azienda…

E il mio omaggio a Bugno termina qui, sapendo che anche se lui sapesse, non gliene fregherebbe nulla. Perchè a lui non sono mai piaciuto omaggi, celebrazioni, neppure quando vinceva.

Pubblicato da papà Gianni

Cantastorie

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