“Sto raggiungendo in bicicletta il mio posto di lavoro. Un mio collega, in auto, mi riconosce, mi affianca e scherzosamente finge di insultarmi. Io sto al gioco e rispondo agli insulti in maniera colorita.
L’automobilista alle sue spalle non capisce, ma mi affianca a sua volta e inizia a vomitarmi addosso la sua rabbia augurandomi una morte orribile.Non so cosa abbia visto, ma immagino abbia ipotizzato che una mia manovra, che non c’è stata, avesse fatto arrabbiare l’automobilista che lo precedeva. Così, sulla fiducia.”
—fine storia—
Nell’episodio qui sopra c’è tutta l’intolleranza preconcetta nei confronti della categoria ciclisti. Una categoria percepita come omogenea, ma che non lo è, come non lo è quella degli automobilisti. Forse l’unica cosa che accomuna tutti i ciclisti è che, in caso in incidente, sono quelli che hanno la peggio.
Questo post parla di ciclismo. Non quello professionistico e neppure quello amatoriale. Parla di chi ha scelto di usare la bicicletta come mezzo di trasporto o come mezzo di lavoro, in un mondo dove odiare è molto più semplice che amare e in cui i ciclisti in strada sono visti come un fastidioso intralcio, talvolta dei birilli da abbattere.
Negli ultimi anni, grazie a persone virtuose, qualcosa sta cambiando: è notizia di pochi giorni fa il primo storico rinvio a giudizio per l’uomo che ha commentato “Investirne uno per educarne cento” un articolo che parlava di un ragazzino in bicicletta deceduto dopo essere stato investito da un automobilista. Lo scorso anno Facebook ha chiuso una pagina molto seguita, con l’eloquente nome ‘Odio i ciclisti di merda’, dove si pubblicavano video di incidenti con coinvolti ciclisti e nei commenti gli utenti si sbizzarrivano nei modi più beceri.
Sebbene (vedi foto) esistano ancora approcci di vecchio stampo, come i cartelli che intimano i ciclisti a mantenere la destra, stanno a mano a mano diventando attuative alcune regole del codice della strada che ribaltano il paradigma con l’obiettivo di difendere i ciclisti, e invitano glli automobilisti a rispettare la distanza laterale minima di un metro e mezzo durante il sorpasso e altri accorgimenti.
Tutto molto bello, ma con il rischio latente che queste diventino semplicemente nuove regole che gli automobilisti infrangeranno quotidianamente. Del resto è già proibito severamente parlare al telefono durante la guida, eppure la pratica resta molto diffusa.
Le strade, in Italia, non sono fatte per i ciclisti, ma il vero problema è gli italiani non sono fatti per i ciclisti. La bicicletta, che fino al secolo scorso faceva parte del nostro DNA, è stata epurata dalla nostra cultura: c’è chi preferisce, all’uscita dal posto di lavoro, fare un’ora di coda in auto per raggiungere la palestra e pedalare sulla cyclette, piuttosto che tornare a casa in bicicletta risparmiando tempo e soldi.
E chi va in bicicletta è un nemico, perché fa perdere tempo. ‘Fanno quello che vogliono’, ‘Non rispettano le regole’, ‘Si mettono affiancati’ e via dicendo. Non importa che pochi secondi dopo aver superato ‘l’insopportabile ciclista’, ci si trova nuovamente ad ammirare la targa dell’automobile che si aveva davanti poco prima. Avere un nemico comune avvicina gli automobilisti, che per un attimo si dimenticano di odiarsi anche tra di loro, perché in genere chi va più lento di te è un deficiente e chi va più veloce è un imbecille.
Voglio dire che i ciclisti sono tutti bravi e corretti? Ma certo che no. Voglio dire che i grupponi delle domenica non siano difficili da superare? Ma certo che no.
Però, che vi piaccia oppure no, è in strada che i ciclisti devono stare. Sui marciapiedi non possiamo salire e le piste ciclabili sono rare, percorsi di guerra oppure non esistono. La strada non appartiene agli automobilisti, che neppure sono tutti bravi e corretti.
Anche in questo caso ci tocca guardare ai paesi del Nord con invidia e ammirazione. Paesi che hanno dimostrato la formula paradossale secondo la quale se aumenta la percentuale di ciclisti in strada, diminuisce il numero di incidenti che li coinvolgono. Ma soprattutto, paesi con una cultura e sensibilità tali da insegnare, a scuola guida, ad aprire la portiera dell’auto con la mano destra, così da essere obbligati a guardare se un ciclista sta sopraggiungendo.
Cultura, tolleranza, rispetto. Dobbiamo convivere, come recita la campagna internazionale ‘Share the Road’, ma soprattutto avere senso di responsabilità. Anzi, gli automobilisti devono averne un pizzico in più, perché se io sbaglio, mi faccio male io, ma se loro sbagliano, mi faccio male comunque io.
BREVE STORIA CICLISTICA TRISTE
